Bruxelles lavora al Club sulle materie prime critiche e cerca la sponda di Washington

La conferma nel Piano industriale per il Green Deal, a marzo arriverà il Critical Raw Material Act con un elenco di almeno una trentina di materie prime considerate critiche per la produzione di tecnologie pulite.

di Fabiana Luca

 @fabiana_luca

2 Febbraio 2023

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Bruxelles –

Il Critical Raw Materials Act deve aiutare siderurgia ed eolico a «scrivere la storia della clean tech economy»

I Paesi europei, tra cui Germania, Francia e l’Italia stanno valutando l’istituzione di un fondo nazionale per sostenere la delicata supply chain delle materie prime critiche, tra cui le terre rare. Intanto, a marzo verrà presentato lo EU Critical Raw Materials Act. Vietato farsi concorrenza su un tema di comune interesse strategico. Nel frattempo, Breton chiama a raccolta le banche europee.

La creazione di un fondo nazionale per le materie prime, al fine di finanziare nuovi progetti di estrazione, raffinazione e riciclo, è sul tavolo delle cancellerie europee, tra cui Berlino e Parigi. Francia e Germania si starebbero coordinando per evitare di creare ridondanze e una competizione interna che vada a svantaggio dell’interesse comune. Quello dell’accesso alle materie prime critiche, come terre rare, litio, silicio metallico, cobalto, grafite e altre 25 secondo la lista pubblicata nel 2020 dalla Commissione europea.  

È quanto emerso nel corso dell’evento “Rare Earth Elements and the materials for the twin transition: a challenge for the European strategic autonomy” tenutosi presso l’Ambasciata italiana a Berlino, introdotto dall’ambasciatore Armando Varricchio. Tra gli ospiti istituzionali, il segretario di Stato al ministero dell’Economia e per la Protezione del Clima, Franziska Branter, i direttori di Erma (European Raw Materials Agency), Massimo Gasparon, e della Dera (Agenzia tedesca per le risorse minerarie), Peter Buchholz e il coordinatore del Tavolo sulle materie prime presso il ministero per le Imprese e il Made in Italy, Giacomo Vigna. Hanno inoltre partecipato rappresentanti del mondo delle imprese, think tank e comunità scientifica. 

L’incontro, come emerge dal titolo, si è incentrato sulla crescente importanza che l’accesso alle materie prime considerate “critiche” non solo avrà per rispettare i target comuni per la decarbonizzazione, ma anche la competitività di interi settori industriali nascenti sul suolo europeo. Una domanda globale che entro il 2050 crescerà di 5 volte per le terre rare (soprattutto per l’automotive e l’eolico offshore) e di dieci volte per il litio, ingrediente essenziale per le batterie elettriche, secondo le stime dell’Iea.

Non solo tecnologie “verdi”. Anche i dispositivi digitali e l’infrastruttura per sostenere data center e le capacità di supercalcolo saranno voraci di materie prime critiche, seppur in quantità sicuramente non paragonabili rispetto alle rinnovabili. Come è stato più volte sottolineato, queste ultime sono materialmente più dispendiose rispetto alle fonti fossili a parità di energia prodotta, non solo in termini di materiali critici ma anche di base come acciaio, rame e cemento. Inoltre, la concentrazione delle forniture e delle capacità trasformative è ancor più accentuata rispetto a petrolio e gas, ma questo ovviamente perché si tratta di un mercato in decollo e su cui pochi paesi (Cina in primis) hanno saputo costruire un vantaggio competitivo lungo tutta la filiera. 

Una sfida, per la sua rilevanza nel nuovo ordine industriale nascente, che l’Europa è chiamata ad affrontare. Soprattutto in un nuovo clima geopolitico dove la sicurezza delle forniture – e la sua diversificazione – diventa cruciale. Secondo dati raccolti da Bloomberg, il volume di terre rare spedito dalla Cina attraverso i corridoi ferroviari nelle steppe russe è arrivato a 36.074 tonnellate nei primi nove mesi del 2022, più che raddoppiato rispetto al 2021, per un valore complessivo di 377 milioni di euro. La Germania risulta essere (non a sorpresa) il paese più esposto alla dipendenza dalla Cina, con due terzi delle importazioni per il settore automotive e petrolchimico. Secondo le stime ufficiali Ue, il blocco europeo importa dalla Cina il 98% del suo fabbisogno interno, ma si tratta comunque di materiali a basso valore aggiunto, considerando che la maggior parte dei metalli di terre rare prodotti da Pechino vengono consumati principalmente dalle industrie interne. 

Sembrano cifre risibili, ma è l’utilizzo finale che assegna il loro valore strategico. Soprattutto per la fabbricazione di armamenti, come il tungsteno (importato dalla Cina che ne produce l’83% a livello mondiale) utilizzato Thales Air Defence e Rheinmetall AG per la costruzione dei sistemi antimissile impiegati anche in Ucraina. “La competizione per le risorse diventerà presto più intensa”, ha commentato Rafael Loss, analista militare dell’European Council on Foreign Relations. 

La sovrapposizione delle supply chain diventerà un’arma geoeconomica, anche per quelle ritenute essenziali per gli obiettivi climatici. Lo dimostra la minaccia che giunge dal ministro cinese per il Commercio e quello di Scienza e Tecnologia: l’introduzione di una misura per bloccare l’export di tecnologie per la produzione di wafer semiconduttori per i pannelli fotovoltaici. Verrebbero così inseriti in una lista di materiali strategici, protetti per l’interesse nazionale e industriale cinese che già include, per esempio, le terre rare. 

Se Cina e Russia non sono più fornitori ritenuti affidabili, come ricostruire una filiera stabile e sicura? La ricetta che è stata condivisa durante l’evento, come raccontato dal Sole 24 Ore, è quella che condurrà alla presentazione dell’European Critical Raw Materials Act questo marzo. Investimenti pubblico-privati, maggior cooperazione interstatale e tra le agenzie nazionali deputate, standardizzazione delle regole e snellimento della prassi burocratica che rappresenta un punto debole, sia per l’apertura di nuovi siti estrattivi – come il recente annuncio della miniera svedese da parte di LKAB – sia per gli incentivi all’economia circolare, come ha ricordato Giacomo Vigna. La forte base industriale e manifatturiera di Italia e Germania, oltre alla loro forte integrazione commerciale, rende il coordinamento di queste misure essenziale, come ha ricordato il ministro Brantner. 

Due posizioni interessanti sono emerse. La prima, di Peter Buchholz (Dera) che ha affermato che una prima fase di valutazione dei rischi è finita. “Ora conosciamo a fondo i problemi”, ha commentato, “dobbiamo concentrarci sulle soluzioni facendo decollare nuovi progetti”. La seconda, un po’ in controtendenza rispetto alla prima, quella di Gian Andrea Blengini, ingegnere del Politecnico di Milano e consulente della Commissione europea tramite il Joint Research Centre (braccio scientifico dei funzionari a Bruxelles). Secondo Blengini la lista europea delle materie prime critiche va dimezzata da 30 a 15. Una revisione che imporrebbe una nuova metodologia di analisi e una nuova valutazione dei rischi, tenendo magari in considerazione progetti industriali dalla natura prettamente strategica. 

Questo alla luce del fatto che il contesto geopolitico è in continuo mutamento, così come le esigenze del mercato. Materie prime considerate ‘critiche’ ieri potrebbero non esserlo più domani. È quindi essenziale far convergere gli investimenti su asset industriali che, al netto delle scelte di consumatori e dell’evoluzione tecnologica, saranno comunque le basi portanti dell’economia del futuro. Batterie, semiconduttori, magneti e le rispettive supply chain. Non a caso lo strumento degli Ipcei (Important Project of Common European Interest), come rilassamento per le regole europee sugli aiuti di Stato, è stato già applicato per le prime e i secondi. 

Nel caso specifico delle terre rare, per una completa filiera integrata ci vorranno anni, forse almeno un decennio. La sfida è creare, contemporaneamente, incentivi per tutti i segmenti, dalla miniera ai magneti e assicurarsi che il procurement avvenga in Europa. Senza consumatori finali, tuttavia, non potrà esserci una vera indipendenza commerciale dalla Cina. 

Per questi segmenti che hanno un’applicazione trasversale in diversi settori industriali, sarà importante costruire un ecosistema pubblico-privato solido, prendendo preziosi insegnamenti anche dal fallimento di Britishvolt. In un contesto inflazionistico e di aumento del costo del capitale, che molti analisti vedono prolungarsi, gli investimenti pubblico-privati dovranno essere ben calibrati. 

Il flusso di finanziamenti dovrà comunque aumentare. Thierry Breton, intervenendo ad una tavola rotonda organizzata a Bruxelles lunedì, insieme a Société Générale, Deutsche Bank e Santander Group e altri importanti gruppi bancari europei, ha sollecitato “investimenti nelle operazioni lungo la catena del valore delle materie prime critiche”. Si tratta di un settore molto rischioso, considerando le problematiche sociali, ambientali, l’incertezza geopolitica e le differenti criticità lungo la filiera. Il Commissario al mercato interno ha citato la dipendenza da paesi autocratici, come la Cina, e la “colossale” crescita della domanda per spronare i banchieri. Insomma, da una parte la (geo)politica, dall’altra le opportunità di dividendi economici. La disponibilità del capitale privato dipenderà molto dalle clausole e normative che verranno previste l’8 marzo, data in cui la Commissione presenterà lo Eu Crm Act

Bruxelles lavora al Club sulle materie prime critiche

Nel quadro del ‘Critical Raw Material Act’, la legge europea sulle materie prime critiche che Bruxelles dovrebbe presentare il prossimo 8 marzo, l’esecutivo comunitario dovrebbe presentare i dettagli dell’idea di dar vita a un Club delle materie prime critiche, per rafforzare collettivamente le catene di approvvigionamento e diversificare dai fornitori unici. L’intenzione è stata confermata nella comunicazione dal collegio a guida von der Leyen relativa sul Piano industriale per il Green Deal,

Il club sarà formato da partner affidabili per garantire un approvvigionamento globale, sostenibile e conveniente di materie prime essenziali per la doppia transizione verde e digitale.

Litio, cobalto, tungsteno, gallio, silicio metallico per i semiconduttori, platino per le celle a idrogeno e le celle elettrolitiche: sono tutte materie prime che l’Ue considera critiche e strategiche per la produzione di tecnologie pulite necessarie alla transizione, ma su cui è quasi completamente dipendente da Paesi terzi, come la Cina. A questo link la lista pubblicata nel 2020 dalla Commissione europea..

Bruxelles intanto intende rafforzare le partnership commerciali strategiche con quei Paesi che possono aiutare l’Unione nella corsa alle materie prime. L’esecutivo comunitario è al lavoro per concludere accordi con Messico, Cile, Nuova Zelanda e Australia. Il Cile è il secondo produttore al mondo di litio, impiegato per le batterie, e anche l’Australia ne è uno dei maggiori produttori al mondo. Al vaglio anche un accordo con il Messico e la ripresa delle trattative con il blocco del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) sospese dal 2019.

Per approfondimenti:

Mettere il link sul testo questo link: https://rmis.jrc.ec.europa.eu/?page=crm-list-2020-e294f6

 Didascalia del grafico

Fonte Raw Materials Information System, RMIS (https://rmis.jrc.ec.europa.eu)

Quello dell’accesso alle materie prime critiche, come terre rare, litio, silicio metallico, cobalto, grafite e altre 25 secondo la lista pubblicata nel 2020 dalla Commissione europea.  

Un club di partner affidabili sulle materie prime critiche per garantire un approvvigionamento globale e sostenibile e conveniente di materie prime essenziali per la doppia transizione verde e digitale. Litio, cobalto, tungsteno, gallio, silicio metallico per i semiconduttori, platino per le celle a idrogeno e le celle elettrolitiche: sono tutte materie prime che l’Ue considera critiche e strategiche per la produzione di tecnologie pulite necessarie alla transizione, ma su cui è quasi completamente dipendente da Paesi terzi, come la Cina. A questo link la lista pubblicata nel 2020 dalla Commissione europea.

Bruxelles vuole rafforzare le partnership commerciali strategiche con quei Paesi che possono aiutare l’Unione nella corsa alle materie prime. L’esecutivo comunitario è al lavoro per concludere accordi con Messico, Cile, Nuova Zelanda e Australia. Il Cile è il secondo produttore al mondo di litio, impiegato per le batterie, e anche l’Australia ne è uno dei maggiori produttori al mondo. Al vaglio anche un accordo con il Messico e la ripresa delle trattative con il blocco del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) sospese dal 2019.

Nel quadro del ‘Critical Raw Material Act’, la legge europea sulle materie prime critiche che Bruxelles dovrebbe presentare il prossimo 8 marzo, l’esecutivo comunitario dovrebbe presentare i dettagli dell’idea di dar vita a un club delle materie prime critiche con partner che la pensano allo stesso modo – dagli Stati Uniti all’Ucraina – per rafforzare collettivamente le catene di approvvigionamento e diversificare dai fornitori unici. L’intenzione è stata confermata anche ieri, scritta nero su bianco nella comunicazione adottata dal collegio a guida von der Leyen relativa al Piano industriale per il Green Deal, pensato con l’obiettivo di spianare la strada a un’industria a zero emissioni.

Un Piano che per Bruxelles altro non è se non una risposta al piano di sussidi per le tecnologie verdi da quasi 370 miliardi di dollari, l’Inflation Reduction Act (Ira), varato dall’amministrazione statunitense e che secondo Bruxelles può svantaggiare le imprese europee.

Nella comunicazione si legge che l’intenzione è quella di “lavorare con partner che condividono la stessa idea per creare un “Club delle materie prime critiche per garantire un approvvigionamento globale sicuro, sostenibile e conveniente di materie prime essenziali per la nostra transizione verde e digitale con una base industriale competitiva e diversificata”. Il Club dovrebbe dunque sviluppare principi per riunire i “consumatori” di materie prime e i Paesi ricchi di risorse e promuovere la cooperazione per consentire ai Paesi in via di sviluppo ricchi di risorse di risalire la catena del valore.

Pochi ancora i dettagli, se non che il club dovrebbe essere un’iniziativa sostenuta anche dal governo statunitense e che dovrebbe riflettere il lavoro della partnership Usa già avviata sul fronte dei minerali (a cui l’Unione europea ha aderito insieme ad altri Stati membri, tra cui Italia, Francia e Germania). A quanto si apprende da fonti diplomatiche, all’interno della Commissione europea il club sarà gestito da due diverse direzioni generali: quella che si occupa del commercio (DG Trade), che starebbe lavorando a una comunicazione non vincolante ma con linee guida che andranno a individuare le partnership necessarie e indirizzare le politiche commerciali che riguardano minerali e materie prime critiche; e poi la direzione generale che si occupa di Mercato interno, industria, imprenditoria e PMI (DG Grow) che dovrebbe invece lavorare a un regolamento vero e proprio per stimolare e accelerare la trasformazione in chiave di autonomia strategica per quanto riguarda la produzione, l’assemblaggio e il riciclo di materie prime sensibili e altri minerali.

Sulle materie prime critiche l’Unione europea è già impegnata in una partnership bilaterale con il Canada, il club dovrebbe seguire gli stessi obiettivi ma su un piano multilaterale. La corsa all’approvvigionamento di materie prime per l’Unione europea passa anche attraverso il rafforzamento degli accordi commerciali, ovvero uno dei quattro pilastri della piano per l’industria verde.

Bruxelles vuole rafforzare le partnership commerciali strategiche con quei Paesi che possono aiutare l’Unione nella corsa alle materie prime. L’esecutivo comunitario è al lavoro per concludere accordi con Messico, Cile, Nuova Zelanda e Australia. Il Cile è il secondo produttore al mondo di litio, impiegato per le batterie, e anche l’Australia ne è uno dei maggiori produttori al mondo. Al vaglio anche un accordo con il Messico e la ripresa delle trattative con il blocco del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) sospese dal 2019.

 

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